Quello tra vino e formaggio penso sia, personalmente, l’abbinamento più felice a cui si possa pensare. Può essere difficile e forse complicato, ma di sicuro è ricco di sapore e soddisfazioni per le nostre papille gustative.
Il vino ed il formaggio sono due prodotti importanti della cultura e della tradizione eno-gastronomica italiana; nel corso dei secoli il nostro Paese ha consolidato una produzione vinicola e casearia legata al territorio, generando una varietà di inestimabile valore. L’Italia è infatti una delle poche nazioni – se non l’unica – in cui ognuna delle venti regioni produce sia vino che formaggio autoctono, legati tra di loro da un invisibile sodalizio, al punto che spesso l’abbinamento migliore è quello tra questi due prodotti provenienti dalla stessa zona.
Ciò non toglie che si possano fare esperimenti dagli esiti sorprendenti incrociando varietà dell’uno o dell’altro che provengano da aree geografiche diverse; l’immensa varietà di tipologie di vino e formaggio presente sul territorio crea una possibilità pressoché infinita di abbinamenti, e proprio questo è il motivo per cui quest’arte risulta così appassionante.
Ho scelto di affrontare l’argomento dell’abbinamento tra formaggio e vino partendo da quella che è una delle eccellenze casearie italiane: il Parmigiano Reggiano.
In questo articolo approfondiremo alcuni temi, come la sua storia e la sua produzione, lo conosceremo meglio e cercheremo di abbinarlo con il vino migliore a seconda delle varie stagionature.
Tutti conoscono il Parmigiano Reggiano e molti ne avranno provato la bontà con le marmellate, il miele o l’aceto balsamico. Ma che dire del vino? Quali sono gli abbinamenti migliori?
Il Parmigiano Reggiano è, con ogni probabilità, il formaggio italiano più famoso, imitato e – purtroppo, ma va detto – contraffatto al mondo. La sua inconfondibile forma, il suo impareggiabile sapore, la sua incredibile adattabilità a moltissime preparazioni gastronomiche ne hanno decretato il successo, nonché il prestigioso riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta.
UN PO’ DI STORIA
Il riconoscimento della DOP è dovuto anche alla sua storia, fortemente legata al territorio emiliano, e che vede il suo inizio tra le attuali province di Parma e Reggio. In quest’area, nel Medioevo, era presente una folta comunità di monaci benedettini e cistercensi, i primi a produrre un formaggio non molto diverso da quello che oggi ritroviamo ed apprezziamo sulle nostre tavole.
Gli ingredienti utilizzati a quei tempi – parliamo del 1200 circa – erano semplici e reperibili in zona: sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore e latte delle vacche allevate nelle grangie, le aziende agricole dei monasteri. L’obiettivo era quello di produrre un formaggio durevole nel tempo, adatto alle lunghe conservazioni.
Probabilmente quei monaci non immaginavano di star dando vita ad uno dei prodotti che sarebbe sopravvissuti allo scorrere del tempo e che avrebbe generato appassionati in ogni parte del mondo.
Qualche secolo più tardi si è visto un incremento della commercializzazione del Parmigiano Reggiano, sia nel mercato locale che in quello europeo, con un sensibile aumento nelle esportazioni in Germania, Fiandre, Francia e anche Spagna.
Altri due secoli e si vede nascere il primo disciplinare voluto dal Duca di Parma, con il quale si difendeva e certificava il formaggio prodotto nel suo ducato; in questo documento vengono definiti i luoghi dai quali doveva provenire il formaggio che poteva chiamarsi “di Parma” e le lavorazioni necessarie per la sua produzione.
E si arriva alla storia contemporanea: all’inizio del XX secolo vengono introdotte alcune importanti innovazioni, ancora oggi utilizzate, mentre nel 1934 i rappresentanti dei caseifici di Parma, Reggio, Modena, Mantova (a destra del Po), si accordano ed approvano un marchio di origine per il proprio formaggio. Per la DOP si deve attendere il 1996, anno in cui il Parmigiano Reggiano viene riconosciuto anche in sede europea.
COME VIENE FATTO IL PARMIGIANO REGGIANO
Il Parmigiano Reggiano oggi viene fatto con gli stessi ingredienti usati dai monaci ottocento anni fa: latte, caglio naturale e sale. I monaci sono stati sostituiti dai casari e anche i macchinari sono moderni, ma uno strumento è rimasto uguale a sé stesso durante tutto questo tempo: lo spino, ovvero l’attrezzo utilizzato dal maestro casaro per frammentare la cagliata che si viene formando nelle tipiche caldaie di rame a forma di campana rovesciata.
Il sapore sapido che contraddistingue il Parmigiano Reggiano è dovuto ad un periodo in media di venti giorni in cui le forme restano in ammollo in una soluzione di acqua e sale. Questo passaggio serve per acquisire sapidità, abbassare il tasso di umidità della forma e consolidare la crosta.
La fase successiva è la stagionatura, che dura un minimo di 12 mesi e può arrivare fino a oltre 60 mesi. Trascorso il periodo minimo, il caseificio fa controllare le forme dagli esperti del consorzio di tutela; l’espertizzazione – così viene chiamato questo controllo svolto battendo con un martelletto la crosta – serve a capire quali forme possono fregiarsi del marchio a fuoco e diventare a tutti gli effetti Parmigiano Reggiano.
Le fasce di stagionatura sono quindi da 12,18, 24, 36, 40 mesi e oltre, arrivando fino a 72 mesi. Ad ogni “step” corrispondono caratteristiche organolettiche differenti, nonché usi diversi. Per esempio, i 12 e 18 mesi sono ideali consumati a scaglie come aperitivo, mentre il 24 è quello più utilizzato per insaporire pietanze, spesso servito grattugiato o a sottili lamelline; le stagionature più lunghe è preferibile consumarle “in purezza”, magari accompagnate da marmellate, miele o aceto balsamico, capaci con la loro dolcezza di contrastare la spiccata sapidità del formaggio creando un’esplosione di sapori.
LE TIPOLOGIE DI PARMIGIANO REGGIANO PIÙ VENDUTE
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E finalmente arriviamo al vino, perché è da lì che siamo partiti ed è lì che si voleva arrivare.
Ma ancora un po’ di pazienza, perché per abbinarlo al meglio dobbiamo prima imparare a conoscere quello che stiamo andando a degustare.
L’ANALISI SENSORIALE DEL PARMIGIANO REGGIANO
Come per il vino, anche per il Parmigiano Reggiano è utile svolgere un’analisi sensoriale di quello che stiamo per degustare, al fine di apprezzarne le qualità e contestualmente verificare la bontà dell’abbinamento proposto. Vista, olfatto e gusto anche in questo caso vengono chiamati in causa, e ci daranno informazioni importanti.
L’analisi visiva è utile per valutare il colore del Parmigiano Reggiano, che ne indica la stagionatura; un 12 o 18 mesi presenterà un giallo paglierino più chiaro rispetto ad un 36 o 40 mesi, dal colore più scuro. Ma si va oltre il colore, perché questa analisi è utile anche per valutare la struttura della pasta, che può apparire compatta o granulosa, anche in questo caso indice di stagionatura.
Per stimolare l’olfatto dovremo spezzare un frammento di Parmigiano Reggiano ed annusare subito la porzione ottenuta: è infatti questo il momento in cui il formaggio rivela le sue caratteristiche note di latte, vegetale, floreale, fruttato, tostato, animale o speziato. Anche per l’olfatto vale la regola della stagionatura, più è elevata e maggiore sarà l’intensità olfattiva che ne scaturisce.
Infine il sapore, atto conclusivo della nostra analisi. Ad essere oggetto di osservazione sono i sapori di base (distinti nelle macrofamiglie del dolce, del salato, dell’acido e dell’amaro), ma si può anche stabilire la presenza o la mancanza di piccantezza e di astringenza. A seconda della stagionatura, si potranno avere sentori dolci, se il formaggio è giovane, mentre più salati e amarognoli man mano che la stagionatura aumenta.
PARMIGIANO REGGIANO E VINO
Finita l’analisi, passiamo finalmente all’abbinamento.
Come detto in precedenza, l’abbinamento tra Parmigiano Reggiano e vino deve prendere in considerazione il livello di stagionatura del formaggio.
Una stagionatura bassa, vale a dire di 12 o 18 mesi, si accompagna perfettamente ai vini bianchi, fermi o bollicine, proprio grazie al maggior tenore acido del vino, capace di contrastare con efficacia la tendenza dolce del formaggio. Per quanto riguarda le bollicine, sarà ottimo un Franciacorta (Lombardia) o un Trento Classico (Trentino), mentre per un vino fermo bianco si può considerare una Ribolla friulana o un Lacryma Christi vesuviano.
Per restare nell’Emilia, consiglierei un Lambrusco di Sorbara, vino ottenuto da omonimo vitigno originario della zona compresa tra i fiumi Panaro e Secchia, nel territorio di Modena. Può essere frizzante o spumante, caratterizzato da una spuma rosata. Al naso presenta un bouquet fragrante con profumi floreali di viola e aromi di ciliegia, fragola e frutta rossa; in bocca è fresco, fruttato, equilibrato e armonioso, con finale sapido, che richiama la sapidità del Parmigiano Reggiano.
Saliamo di stagionatura, con i 24 ed i 36 mesi, sicuramente più sapidi e nei quali possiamo iniziare a riconoscere sfumature amarognole (specie dai 36 mesi). L’abbinamento con una media stagionatura prevede l’utilizzo perlopiù di vini rossi, purché siano non troppo corposi, con una buona acidità e senza un tenore alcolico eccessivo. Saranno ottime una Barbera del Monferrato, un Foglia Tonda toscano o un Nero d’Avola siciliano.
Per restare su vini autoctoni invece, si torna sui bianchi ed è consigliato un Romagna Albana DOCG, vino ottenuto da vitigno Albana tipico delle zone di Bologna, Cesena e Ravenna. Questa denominazione prevede varie tipologie di vino, tra cui il secco e l’amabile. Ed è proprio quest’ultima tipologia, oltre a quella secca, la più indicata, quella capace di riservare delle belle sorprese se abbinata con un Parmigiano Reggiano a questo grado di stagionatura.
A partire da 40 mesi in su, si iniziano a prendere in considerazione vini cosiddetti “importanti”, di buon corpo, struttura, alcol, e con profili aromatici che richiamano sentori di evoluzione. Più si sale con la stagionatura, più le caratteristiche del formaggio saranno marcate, intense, speziate, ideali per essere accompagnate da vini come Barolo, Barbaresco, Amarone della Valpolicella, Brunello di Montalcino, Primitivo di Manduria, Aglianico del Vulture, Cerasuolo di Vittoria. Grandi rossi, insomma.
Ma oltre ai questi grandi vini, si potrà prendere in considerazione l’abbinamento con vini passiti: un Colli Piacentini Malvasia, per restare in zona, ma anche un Vin Santo, o perché no, vini liquorosi come il Marsala (quello di qualità però…).
Eccoci dunque pronti per gustare e degustare in modo diverso il Parmigiano Reggiano, un formaggio forse un po’ troppo spesso dato per scontato, ma che invece possiede tutte le qualità per essere considerato un top player del mondo caseario.
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